CATALOGO MOSTRA BARALE-PINI MARZO 2009

ANDANDO OLTRE

Quando ho avuto modo di intervistare Giovanni Battista Bassi, il fondatore dell'Istituto Statale d'Arte di Pistoia, in occasione della stesura del libro “ G.B.B. Il sogno diventa forma”, parlando della impostazione didattica della sua scuola, due sono stati gli orientamenti prevalenti:
il percorso scolastico non doveva preparare dei semplici bravi operatori ma “uomini nuovi,più aperti, più disponibili verso la comunità e inseriti nella città di domani”, inoltre, le singole materie dovevano relazionarsi anche a delle tematiche di carattere globale preventivamente fissate.
La dimensione artistica – creativa avrebbe dovuto animare i processi del vivere sociale e la contaminazione tra i vari ambiti disciplinari era praticata attraverso un nuovo approccio mentale, teso ad accogliere e a sperimentare la diversità e l'interdisciplinarietà.
Questo progetto innovativo e per certi versi anomalo è stato possibile attuarlo per una lunga stagione e da studente ho avuto la fortuna di farne parte. Ciò è stato possibile per la conduzione illuminata di Bassi e per la presenza di professori selezionati per il loro meriti e per la loro esperienza sul campo. Essi non si limitavano ad insegnare le nozioni o le tecniche basilari ma proiettavano sui giovani la loro passione e la ricchezza del proprio percorso artistico o professionale.
Attraverso il loro carisma e il loro essere immersi totalmente nella dimensione creativa, proponevano un modello di scuola totale, dove l'apprendimento iniziava nelle aule e si completava all'interno degli studi o comunque in spazi extra scolastici. Jorio Vivarelli era sicuramente tra le figure più prestigiose; lui aveva sposato con naturalità questo progetto e con la sua opera, più di ogni altro, ha attraversato e trasmesso ai suoi studenti tutte le dimensioni del fare arte. Con la scultura ha configurato plasticamente, attraverso diverse soluzioni materiche, continui passaggi di scala, dai grandi temi umani a quelli del sacro; con la grafica ha rappresentato, oltre che la genesi del divenire della scultura, la manifestazione più autentica del suo istinto espressivo. Infine, con interventi a scala urbana, monumenti ad alta valenza simbolica, fontane e sacrari, ha dimostrato di avere un senso innato della città, frutto anche di un continuo dialogo con importanti figure dell'architettura dall'americano Oskar Stonorov ai concittadini Giovanni Michelucci e Giovanni Battista Bassi.
A partire dagli anni della fondazione dell'Istituto “Policarpo Petrocchi”, sulla tradizione della vecchia Scuola d'Arte, un'onda creativa ha preso vita e nel corso degli anni ha donato generosamente, alla città di Pistoia e al suo territorio, una varietà di esperienze artistiche e quella di Vivarelli è tra le più significative. Esse sono segnate da autonoma originalità ma anche caratterizzate da un tratto distintivo comune, che deriva proprio dalla formazione artistica ricevuta all' interno delle mura dell'Istituto di Via S.Pietro.
In questa processualità sono inserite l'esperienze artistiche di Luciano Barale e di Giordano Pini.
Quando Luciano otteneva la maturità artistica, Giordano frequentava i primi anni dell'Istituto d'Arte, quindi il loro percorso formativo è stato molto simile: ambedue hanno frequentato il laboratorio di metalli sotto la guida di Jorio Vivarelli e del suo allievo - amico Umberto Bovi, prematuramente scomparso.
In quegl'anni acquisiscono l'abilità dell'incastonatura dei gioielli, la tecnica dello sbalzo, del cesello, l'arte del rame smaltato e apprendono la tecnica del disegno, della fusione a cera persa, ma da Jorio ricevono l'imperativo di essere continuamente in ricerca di nuove forme e dimensioni espressive.
A distanza di anni, Giordano Pini è rimasto attivo all'interno di tale ambito disciplinare, evolvendo di continuo le tecniche e le modalità applicative, mentre Barale si è avvicinato alla pittura: molte sono le affinità per un verso comuni, per l'altro complementari. Non è un caso che in questi ultimi anni si siano ritrovati all'interno di un percorso artistico condiviso e insieme abbiano partecipato ad alcune importanti rassegne cittadine come quella dedicata a Marino Marini nel maggio 2007, “Liù mon amour”, conclusasi nel giugno scorso, “Viaggi tra i suoni, colori, parole... Omaggio a Giacomo Puccini e la recente esposizione “Note a piè di pagina” allestita negli ambienti restaurati di Palazzo Puccini a Pistoia.
La loro produzione artistica è necessariamente diversa: quella di Barale è scandita dal ritmo dei passi pensati che prendono le mosse da un mondo interiore riflessivo e fonte di inesauribili suggerimenti e dalla semplicità della dimensione quotidiana, quella di Pini, invece, è pervasa da una continua osservazione dei fattori naturali che partecipano attivamente alla costruzione dei micro e macro cosmo e che trova sintesi proprio nella creatività plastica, ogni volta generata in modo nuovo, ora nella delicatezza minuta di un gioiello, ora nella organicità di oggetti scultorei di più grande dimensione.
Ciò che principalmente li accomuna è il loro modo di essere nell'arte e il loro modo di fare arte.
Spiccato è il desiderio di praticare una ricerca autonoma e paziente che procede lineare nel tempo, incurante delle mode, dei cambi di gusto, contrapponendo la ponderatezza dei gesti al veloce consumo delle immagini imposto dall'attuale società. La comune passione per la dimensione artigianale del fare, dove ogni operazione, ogni segno grafico o incisione, rappresenta il prolungamento di un pensiero coerentemente (altro termine fuori moda) con ciò che è stato già svolto; la precisione, la meticolosità, la finitezza accompagnano tutte le fasi di compimento delle loro opere.
Non ultimo per importanza, il desiderio di contaminazione tanto che parlare di “pittura” per Barale e di “oreficiera” per Pini è indubbiamente limitante e riduttivo. Forte è la volontà di “sconfinare” dai canoni imposti dalla tradizione delle rispettive discipline di partenza. E' un impulso dettato dalla propria interiorità che vuole continuare un dialogo intimo con la materia e il colore, ogni volta miscelati tra loro con sensibilità e appropriatezza.
Questo modo di porsi è un tratto distintivo presente in molti artisti pistoiesi, i quali, nel corso degli anni, hanno privilegiato e valorizzato più gli ambiti della propria ricerca espressiva anzichè fare sintesi dei tratti comuni. Ciò si riscontra scorrendo le pagine del bel libro, edito di recente dalla Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, dedicato all'Arte del '900 a Pistoia, dove è ben evidenziato il fatto che poche sono le vicende artistiche che sono sfociate in una “scuola” o in un manifesto di intenti comune. Il Novecento, nella nostra città, è segnato da un insieme di percorsi individuali che solo per brevi tratti si sovrappongono ad altri, per poi tornare immediatamente in una dimensione più appartata e autonoma.
Il saggio di Annamaria Iacuzzi “Cultura artistica dal dopoguerra a Pistoia”, rappresenta con lucidità questo insieme di frammenti e tra questi sottolinea la geniale e austera figura di Fernando Melani , nella cui testimonianza artistica, troviamo la tensione che orienta la produzione artistica: “l'assunto di F.M.”, scrive Iacuzzi, “è quello di un'arte non più fine dell'azione artistica, ma come mezzo conoscitivo dell'universo molecolare ed energetico che ci circonda e ci comprende”.
Questa tensione creativa la ritroviamo nei maestri pistoiesi della scultura come Jorio Vivarelli o dell'architettura come Giovanni Michelucci: per ambedue la critica ha sempre faticato a collocarli nelle “scuole” in quanto ogni volta diversi, anche se muniti di una forte identità, lontani da tutti gli “ismi” che di volta in volta hanno attraversato.

Barale e Pini, al pari di molti altri hanno colto questa sfida, quella cioè di tenere accesa la fiamma del non essere mai appagati, del continuo scavarsi dentro per comprendere meglio ciò che sta fuori di noi. E' da sottolinare positivamente il desiderio di condividere un percorso artistico con altri, di percorrere tratti di strada insieme, attraverso la sincera volontà di interagire, sino al punto di mettere in cantiere opere in collaborazione: un quadro con l'inserimento di un manufatto orafo o la riproduzione di un disegno sulla finitura di un gioiello.

In Barale la ricerca di un sottile equilibrio compositivo e cromatico è il tema che più di ogni altro emerge dalla visione dei suoi quadri. Valori cromatici caldi e freddi sono tenuti insieme con pazienza e con il morbido susseguirsi dei toni; il sovrapporsi “scomposto e casuale” dei regoli, in realtà più che al caos rimanda ad un sapiente e ordinato gioco di equilibri, in cui ogni elemento sostiene l’altro e viceversa: ristabilire un ordine interiore, un punto di partenza dal quale dipanare le tante forme della complessità.
Questo gioco delicato di sovrapposizioni, rappresenta simbolicamente la ricerca della dimensione misteriosa, quella più nascosta che ogni volta dobbiamo scoprire e poi ricomporrre, mai uguale a prima.
In Barale è rimasta viva nella memoria, la lezione di Vivarelli sul tema del sacro e fra i tanti interventi realizzati ha avuto modo di visionare appronfonditamente l'allestimento scultoreo del presbiterio della chiesa di S. Michele Arcangelo alle Casermette. Nell'intreccio del pannello bronzeo del tabrnacolo emerge il mosaico smaltato: due dimensioni sovrapposte ma percepite in maniera unitaria, quasi a simboleggiare nel primo il tormento e la fatica del vivere umano e nel secondo la realtà luminosa della trascendenza. Ambedue le dimensioni, a loro volta, nascondono un'altra realtà ben più profonda, quella del mistero eucaristico.
Barale, imparando anche da un'attenta visione delle opere di Vivarelli, ha trovato una chiave, la sua, per entrare in profondità alle cose e la propone con misura ed eleganza ad un mondo distratto e frenetico che invece è fin troppo guidato dall’ovvietà e dalla materialità.

Nelle opere di Pini, non è immediato cogliere l'ideazione proposta, in quanto la raffinatezza e l'abilità della lavorazione sono fattori prevalenti e di grande fascino. Eppure la sua originalissima produzione di opere di gioielleria è una continua evoluzione di pensieri e suggestioni e bene sintetizza in uno scritto la storica del costume Alessandra Lucaccini “Pini lavora su schemi d'impianto naturalistico che interpreta con grande libertà inventiva; talvolta la rappresentazione non si offre da sola, occorre osservare approfonditamente per penetrare l'enigma e coglierne il segreto. Pini esprimendosi attraverso la duttile tecnica a cera persa,crea con gli occhi, il cuore, la mente; la sua non è una conquista formale, ma una vera elaborazione dell'anima”.
I suoi oggetti “preziosi” sono generati nell'assenza della materialità, nella luce e nel vuoto, al di là del tempo per poter giungere integri, lontani da ogni interferenza materiale e trovano il loro compimento nell'unicità dell'essere indossati.
Anche se il singolo oggetto è donato ad una singola persona, la sua ideazione, il suo desiderio di raccontare, di divulgare è rivolto alla gente. Pini ha trascorso gli anni dell'infanzia a Piteccio, in un paesaggio posto tra la città e la montagna, vicino al fiume, fonte di gioco che ad ogni piena, con la sedimentazione dei ciottoli, mutava continuamente il suo scenario. Raccoglieva quegli stessi ciottoli, che ora ritroviamo incastonati nei suoi gioielli. La sua abitazione confinava con la vecchia ferriera Pacini e la forgiatura del ferro, il fuoco, il ritmo del battere sull'incudine hanno segnato indelebilmente la sua formazione e questo bagaglio di sentimenti e ricordi lo avvicina ancora di più al suo maestro Jorio.
Una frase, contenuta nella lettera scritta da Michelucci a Vivarelli, può simbolicamente condensare il più importante viatico consegnato all'allievo Giordano, quando scrive “A te è facile, intendere questo modo di dar vita ad un'opera; a te, più che ad altri, perchè tu hai sempre vissuto sempre in mezzo agli artigiani della tua terra... Ricordo di averti trovato un giorno in fondo al torrente di Riolunato, mentre sceglievi, fra le grosse pietre arrotondate, quella che poteva servirti per tirarne fuori una forma che avevi già delineato nella mente – tutt'una cosa con la materia e l'ambiente”.

Bisogna essere grati a figure come Jorio Vivarelli non solo per le tante opere donate alla collettività ma soprattutto per il modo con il quale l'uomo scultore è riuscito ad andare oltre a ciò che immediatamente è percebile agli occhi e ai sensi, avendo chiara la direzione ma non la meta.


Alessandro Suppressa