ANDANDO OLTRE
Quando ho avuto modo di intervistare Giovanni Battista Bassi, il
fondatore dell'Istituto Statale d'Arte di Pistoia, in occasione
della stesura del libro “ G.B.B. Il sogno diventa forma”, parlando
della impostazione didattica della sua scuola, due sono stati gli
orientamenti prevalenti:
il percorso scolastico non doveva preparare dei semplici bravi
operatori ma “uomini nuovi,più aperti, più disponibili verso la
comunità e inseriti nella città di domani”, inoltre, le singole
materie dovevano relazionarsi anche a delle tematiche di carattere
globale preventivamente fissate.
La dimensione artistica – creativa avrebbe dovuto animare i processi
del vivere sociale e la contaminazione tra i vari ambiti
disciplinari era praticata attraverso un nuovo approccio mentale,
teso ad accogliere e a sperimentare la diversità e
l'interdisciplinarietà.
Questo progetto innovativo e per certi versi anomalo è stato
possibile attuarlo per una lunga stagione e da studente ho avuto la
fortuna di farne parte. Ciò è stato possibile per la conduzione
illuminata di Bassi e per la presenza di professori selezionati per
il loro meriti e per la loro esperienza sul campo. Essi non si
limitavano ad insegnare le nozioni o le tecniche basilari ma
proiettavano sui giovani la loro passione e la ricchezza del proprio
percorso artistico o professionale.
Attraverso il loro carisma e il loro essere immersi totalmente nella
dimensione creativa, proponevano un modello di scuola totale, dove
l'apprendimento iniziava nelle aule e si completava all'interno
degli studi o comunque in spazi extra scolastici. Jorio Vivarelli
era sicuramente tra le figure più prestigiose; lui aveva sposato con
naturalità questo progetto e con la sua opera, più di ogni altro, ha
attraversato e trasmesso ai suoi studenti tutte le dimensioni del
fare arte. Con la scultura ha configurato plasticamente, attraverso
diverse soluzioni materiche, continui passaggi di scala, dai grandi
temi umani a quelli del sacro; con la grafica ha rappresentato,
oltre che la genesi del divenire della scultura, la manifestazione
più autentica del suo istinto espressivo. Infine, con interventi a
scala urbana, monumenti ad alta valenza simbolica, fontane e
sacrari, ha dimostrato di avere un senso innato della città, frutto
anche di un continuo dialogo con importanti figure dell'architettura
dall'americano Oskar Stonorov ai concittadini Giovanni Michelucci e
Giovanni Battista Bassi.
A partire dagli anni della fondazione dell'Istituto “Policarpo
Petrocchi”, sulla tradizione della vecchia Scuola d'Arte, un'onda
creativa ha preso vita e nel corso degli anni ha donato
generosamente, alla città di Pistoia e al suo territorio, una
varietà di esperienze artistiche e quella di Vivarelli è tra le più
significative. Esse sono segnate da autonoma originalità ma anche
caratterizzate da un tratto distintivo comune, che deriva proprio
dalla formazione artistica ricevuta all' interno delle mura
dell'Istituto di Via S.Pietro.
In questa processualità sono inserite l'esperienze artistiche di
Luciano Barale e di Giordano Pini.
Quando Luciano otteneva la maturità artistica, Giordano frequentava
i primi anni dell'Istituto d'Arte, quindi il loro percorso formativo
è stato molto simile: ambedue hanno frequentato il laboratorio di
metalli sotto la guida di Jorio Vivarelli e del suo allievo - amico
Umberto Bovi, prematuramente scomparso.
In quegl'anni acquisiscono l'abilità dell'incastonatura dei
gioielli, la tecnica dello sbalzo, del cesello, l'arte del rame
smaltato e apprendono la tecnica del disegno, della fusione a cera
persa, ma da Jorio ricevono l'imperativo di essere continuamente in
ricerca di nuove forme e dimensioni espressive.
A distanza di anni, Giordano Pini è rimasto attivo all'interno di
tale ambito disciplinare, evolvendo di continuo le tecniche e le
modalità applicative, mentre Barale si è avvicinato alla pittura:
molte sono le affinità per un verso comuni, per l'altro
complementari. Non è un caso che in questi ultimi anni si siano
ritrovati all'interno di un percorso artistico condiviso e insieme
abbiano partecipato ad alcune importanti rassegne cittadine come
quella dedicata a Marino Marini nel maggio 2007, “Liù mon amour”,
conclusasi nel giugno scorso, “Viaggi tra i suoni, colori, parole...
Omaggio a Giacomo Puccini e la recente esposizione “Note a piè di
pagina” allestita negli ambienti restaurati di Palazzo Puccini a
Pistoia.
La loro produzione artistica è necessariamente diversa: quella di
Barale è scandita dal ritmo dei passi pensati che prendono le mosse
da un mondo interiore riflessivo e fonte di inesauribili
suggerimenti e dalla semplicità della dimensione quotidiana, quella
di Pini, invece, è pervasa da una continua osservazione dei fattori
naturali che partecipano attivamente alla costruzione dei micro e
macro cosmo e che trova sintesi proprio nella creatività plastica,
ogni volta generata in modo nuovo, ora nella delicatezza minuta di
un gioiello, ora nella organicità di oggetti scultorei di più grande
dimensione.
Ciò che principalmente li accomuna è il loro modo di essere
nell'arte e il loro modo di fare arte.
Spiccato è il desiderio di praticare una ricerca autonoma e paziente
che procede lineare nel tempo, incurante delle mode, dei cambi di
gusto, contrapponendo la ponderatezza dei gesti al veloce consumo
delle immagini imposto dall'attuale società. La comune passione per
la dimensione artigianale del fare, dove ogni operazione, ogni segno
grafico o incisione, rappresenta il prolungamento di un pensiero
coerentemente (altro termine fuori moda) con ciò che è stato già
svolto; la precisione, la meticolosità, la finitezza accompagnano
tutte le fasi di compimento delle loro opere.
Non ultimo per importanza, il desiderio di contaminazione tanto che
parlare di “pittura” per Barale e di “oreficiera” per Pini è
indubbiamente limitante e riduttivo. Forte è la volontà di
“sconfinare” dai canoni imposti dalla tradizione delle rispettive
discipline di partenza. E' un impulso dettato dalla propria
interiorità che vuole continuare un dialogo intimo con la materia e
il colore, ogni volta miscelati tra loro con sensibilità e
appropriatezza.
Questo modo di porsi è un tratto distintivo presente in molti
artisti pistoiesi, i quali, nel corso degli anni, hanno privilegiato
e valorizzato più gli ambiti della propria ricerca espressiva
anzichè fare sintesi dei tratti comuni. Ciò si riscontra scorrendo
le pagine del bel libro, edito di recente dalla Cassa di Risparmio
di Pistoia e Pescia, dedicato all'Arte del '900 a Pistoia, dove è
ben evidenziato il fatto che poche sono le vicende artistiche che
sono sfociate in una “scuola” o in un manifesto di intenti comune.
Il Novecento, nella nostra città, è segnato da un insieme di
percorsi individuali che solo per brevi tratti si sovrappongono ad
altri, per poi tornare immediatamente in una dimensione più
appartata e autonoma.
Il saggio di Annamaria Iacuzzi “Cultura artistica dal dopoguerra a
Pistoia”, rappresenta con lucidità questo insieme di frammenti e tra
questi sottolinea la geniale e austera figura di Fernando Melani ,
nella cui testimonianza artistica, troviamo la tensione che orienta
la produzione artistica: “l'assunto di F.M.”, scrive Iacuzzi, “è
quello di un'arte non più fine dell'azione artistica, ma come mezzo
conoscitivo dell'universo molecolare ed energetico che ci circonda e
ci comprende”.
Questa tensione creativa la ritroviamo nei maestri pistoiesi della
scultura come Jorio Vivarelli o dell'architettura come Giovanni
Michelucci: per ambedue la critica ha sempre faticato a collocarli
nelle “scuole” in quanto ogni volta diversi, anche se muniti di una
forte identità, lontani da tutti gli “ismi” che di volta in volta
hanno attraversato.
Barale e Pini, al pari di molti altri hanno colto questa sfida,
quella cioè di tenere accesa la fiamma del non essere mai appagati,
del continuo scavarsi dentro per comprendere meglio ciò che sta
fuori di noi. E' da sottolinare positivamente il desiderio di
condividere un percorso artistico con altri, di percorrere tratti di
strada insieme, attraverso la sincera volontà di interagire, sino al
punto di mettere in cantiere opere in collaborazione: un quadro con
l'inserimento di un manufatto orafo o la riproduzione di un disegno
sulla finitura di un gioiello.
In Barale la ricerca di un sottile equilibrio compositivo e
cromatico è il tema che più di ogni altro emerge dalla visione dei
suoi quadri. Valori cromatici caldi e freddi sono tenuti insieme con
pazienza e con il morbido susseguirsi dei toni; il sovrapporsi
“scomposto e casuale” dei regoli, in realtà più che al caos rimanda
ad un sapiente e ordinato gioco di equilibri, in cui ogni elemento
sostiene l’altro e viceversa: ristabilire un ordine interiore, un
punto di partenza dal quale dipanare le tante forme della
complessità.
Questo gioco delicato di sovrapposizioni, rappresenta simbolicamente
la ricerca della dimensione misteriosa, quella più nascosta che ogni
volta dobbiamo scoprire e poi ricomporrre, mai uguale a prima.
In Barale è rimasta viva nella memoria, la lezione di Vivarelli sul
tema del sacro e fra i tanti interventi realizzati ha avuto modo di
visionare appronfonditamente l'allestimento scultoreo del
presbiterio della chiesa di S. Michele Arcangelo alle Casermette.
Nell'intreccio del pannello bronzeo del tabrnacolo emerge il mosaico
smaltato: due dimensioni sovrapposte ma percepite in maniera
unitaria, quasi a simboleggiare nel primo il tormento e la fatica
del vivere umano e nel secondo la realtà luminosa della
trascendenza. Ambedue le dimensioni, a loro volta, nascondono
un'altra realtà ben più profonda, quella del mistero eucaristico.
Barale, imparando anche da un'attenta visione delle opere di
Vivarelli, ha trovato una chiave, la sua, per entrare in profondità
alle cose e la propone con misura ed eleganza ad un mondo distratto
e frenetico che invece è fin troppo guidato dall’ovvietà e dalla
materialità.
Nelle opere di Pini, non è immediato cogliere l'ideazione proposta,
in quanto la raffinatezza e l'abilità della lavorazione sono fattori
prevalenti e di grande fascino. Eppure la sua originalissima
produzione di opere di gioielleria è una continua evoluzione di
pensieri e suggestioni e bene sintetizza in uno scritto la storica
del costume Alessandra Lucaccini “Pini lavora su schemi d'impianto
naturalistico che interpreta con grande libertà inventiva; talvolta
la rappresentazione non si offre da sola, occorre osservare
approfonditamente per penetrare l'enigma e coglierne il segreto.
Pini esprimendosi attraverso la duttile tecnica a cera persa,crea
con gli occhi, il cuore, la mente; la sua non è una conquista
formale, ma una vera elaborazione dell'anima”.
I suoi oggetti “preziosi” sono generati nell'assenza della
materialità, nella luce e nel vuoto, al di là del tempo per poter
giungere integri, lontani da ogni interferenza materiale e trovano
il loro compimento nell'unicità dell'essere indossati.
Anche se il singolo oggetto è donato ad una singola persona, la sua
ideazione, il suo desiderio di raccontare, di divulgare è rivolto
alla gente. Pini ha trascorso gli anni dell'infanzia a Piteccio, in
un paesaggio posto tra la città e la montagna, vicino al fiume,
fonte di gioco che ad ogni piena, con la sedimentazione dei
ciottoli, mutava continuamente il suo scenario. Raccoglieva quegli
stessi ciottoli, che ora ritroviamo incastonati nei suoi gioielli.
La sua abitazione confinava con la vecchia ferriera Pacini e la
forgiatura del ferro, il fuoco, il ritmo del battere sull'incudine
hanno segnato indelebilmente la sua formazione e questo bagaglio di
sentimenti e ricordi lo avvicina ancora di più al suo maestro Jorio.
Una frase, contenuta nella lettera scritta da Michelucci a
Vivarelli, può simbolicamente condensare il più importante viatico
consegnato all'allievo Giordano, quando scrive “A te è facile,
intendere questo modo di dar vita ad un'opera; a te, più che ad
altri, perchè tu hai sempre vissuto sempre in mezzo agli artigiani
della tua terra... Ricordo di averti trovato un giorno in fondo al
torrente di Riolunato, mentre sceglievi, fra le grosse pietre
arrotondate, quella che poteva servirti per tirarne fuori una forma
che avevi già delineato nella mente – tutt'una cosa con la materia e
l'ambiente”.
Bisogna essere grati a figure come Jorio Vivarelli non solo per le
tante opere donate alla collettività ma soprattutto per il modo con
il quale l'uomo scultore è riuscito ad andare oltre a ciò che
immediatamente è percebile agli occhi e ai sensi, avendo chiara la
direzione ma non la meta.
Alessandro Suppressa
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